Il cinema europeo offre spesso opere che esplorano la complessità dei sentimenti umani, e “Dreams” del regista Dag Johan Haugerud non fa eccezione. Presentato al Festival di Berlino, il film ha catturato l’attenzione per la sua rappresentazione dell’amore giovanile attraverso una lente di idealizzazione e sogno. Ma cosa rende questa pellicola così affascinante e, al tempo stesso, problematica?
UN AMORE IDEALIZZATO NELLA NORVEGIA MODERNA
“Dreams”, intitolato “Drømmer” in norvegese, segue la storia di Johanne, una giovane di diciassette anni che sviluppa una intensa infatuazione per la sua insegnante di francese, Johanna. Questo rapporto, già complicato da un significativo divario d’età e dalla natura dei ruoli coinvolti, viene ulteriormente complicato dal giudizio sociale e familiare. La regia di Haugerud riesce a ritrarre con delicatezza e intelligenza questo tipo di attrazione, mettendo in luce l’immaginario che spesso circonda il primo amore.
La rappresentazione di Oslo come sfondo chiave nella formazione della protagonista aggiunge profondità alla narrazione. La città non è solo un palcoscenico, ma diventa un personaggio che contribuisce all’evoluzione psicologica di Johanne, rendendo palpabile il tumulto emotivo che accompagna l’amore adolescenziale.

LA FORZA DELLE PAROLE E IL VOICE-OVER
Uno degli elementi distintivi di “Dreams” è l’uso di un invasivo voice-over che accompagna le immagini. Questo strumento narrativo, sebbene possa risultare ridondante, offre uno sguardo dettagliato ai pensieri interiori di Johanne. Tuttavia, la sua presenza costante può anche limitare la spontaneità della visione, creando un certo disaccordo tra le emozioni percepite e quelle espresse.
- Il voice-over analizza ogni passaggio interiore, senza lasciare spazio a una lettura più libera.
- Crea una struttura narrativa ripetitiva che si ricollega alla fase adolescenziale della vita.
- Rende difficile la comprensione della bellezza del primo amore, facendolo sembrare quasi distante.
IL FASCINO E LE LIMITAZIONI DEL FILM
Haugerud, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale, chiude la sua trilogia con una pellicola che, sebbene ricca di meriti, presenta anche alcune criticità. La durata complessiva del film tende a sfidare l’attenzione dello spettatore, quasi a rincorrere un ritmo che non sempre riesce a mantenere. La somiglianza con la “trilogia dei Colori” di Kieslowski è evidente, sollevando interrogativi sulla freschezza artistica del regista norvegese.
Un altro aspetto degno di nota è la colonna sonora, composta da Anna Berg, che traduce in note le emozioni di Johanne. Questa scelta musicale riesce a comunicare ciò che le parole non possono esprimere, creando un contrasto efficace con il resto della narrazione.
UN ESPLORAZIONE DEL SOGNO E DELLA REALTÀ
“Dreams” non è soltanto un film sull’amore, ma anche un’analisi dei sogni e delle aspirazioni irrealizzate. Attraverso i dialoghi e le interazioni tra i vari personaggi, il film esplora diversi livelli di sogno: da quelli condivisi con la famiglia a quelli personali, mostrando come ognuno si confronti con le proprie aspirazioni e con le aspettative esterne.
- Le interazioni familiari con la nonna di Johanne amplificano il tema dei sogni irrealizzati.
- Il finale, lungo e meditato, stimola riflessioni profonde sui desideri giovanili.
- La pellicola riesce a catturare un certo realismo nell’idealizzazione romantica.
In definitiva, “Dreams” di Dag Johan Haugerud è un’opera che non manca di colpire, ma che pone domande sul ruolo delle parole e delle emozioni nel racconto di storie d’amore giovanili. Attraverso l’analisi attenta di esperienze adolescenti, il film invita gli spettatori a riflettere sui propri sogni, sugli amori perduti e sulle favole che costruiamo nella nostra mente. Un viaggio emozionante, ma che richiede allo spettatore di navigare tra idealizzazione e realtà.